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max_pershin писал(а):Да и фиат не пустит к себе в страну никого из иностранных производителей!!!
Лёня писал(а):max_pershin писал(а):Да и фиат не пустит к себе в страну никого из иностранных производителей!!!
Макс, это сейчас не так актуально, как когда-то, границ-то нет, иностранным производителям проще, много дешевле, устроить сборку где-нибудь в румынии, польше, да даже в испании или португалии . Итальянцы - далеко не самая низкооплачиваемая рабочая сила.
max_pershin писал(а):Так в том то и дело, что пол Италии возмущено производством двигателей в Польше, покупкой бывшей Заставы в Югославии и при этом закрытием заводов в Италии.
Если будет продажа Альфы - это грозит массовыми увольнениями, закрытием сборочных заводов и т.д. Профсоюзы этого не допустят!
Kot156 писал(а):max_pershin писал(а):Так в том то и дело, что пол Италии возмущено производством двигателей в Польше, покупкой бывшей Заставы в Югославии и при этом закрытием заводов в Италии.
Если будет продажа Альфы - это грозит массовыми увольнениями, закрытием сборочных заводов и т.д. Профсоюзы этого не допустят!
Они могут возмущаться, сколько влезет. Сильно это помогло, когда С.М. озвучил приговор Termini Imerese?
Новый FIAT позиционирует себе, как глобальная компания, а не социальный институт для трудоустройства населения южной Италии. Поэтому, если концерн не будет нуждаться в господпитке для поддержания ликвидности, он будет цинично увеличивать производство в Бразилии и Польше и освобождаться от бесполезных с экономической точки зрения активов.
max_pershin писал(а):
SUV-CROSSOVER
- Fiat "Journey" - re-badge del Dodge Journey restyling (2011)
- Fiat "Nitro" - re-badge del Dodge Nitro (2010)
max_pershin писал(а):Не забывай о политике. Уволят рабочих, возмутятся профсоюзы, не будет голосов избирателей, не будет поддержки государства в плане субсидий, не будет продаж, не будет покупателей автомобилей. Не забывай о том, что рынок Италии является для фиата приоритетным.
max_pershin писал(а):Почему активы бесполезны? По моему иногда проще и дешевле переоснастить завод, установить более новое производительное оборудование, чем строить его черт знает где, обучать персонал, следить за культурой производства и т.д.
Grazie a Marchionne la società italiana ha trovato un punto d'accordo. Da quando i vertici Fiat hanno annunciato la futura chiusura di Termini Imerese, le agenzie di stampa continuano a raccogliere le dichiarazioni di personaggi che, incredibilmente, sembrerebbero pensarla allo stesso modo. Sindacati, ministri leghisti, sacerdoti, ex deputati dell'estrema sinistra, giornalisti filo Berlusconi, ecc..ormai tutto si è trasformato in un patetico teatrino in cui anche le istituzioni (vedi le banali parole di Schifani) si sentono in dovere di rilasciare il loro fondamentale contributo.
Va detto che questo "movimento di unità nazionale" (anti Fiat) è mosso da sentimenti diversi. C'è la contrapposizione ideologica di coloro che ragionano come se fossimo ancora nel diciannovesimo secolo, c'è l'odio per gli Agnelli che anima alcuni giornalisti di pseudo destra, c'è il tentativo della Chiesa di mostrarsi vicina ai più deboli e c'è il populismo di un Governo sempre premuroso quando si tratta di salvaguardare i sondaggi di popolarità. Tra tutte queste diverse motivazioni mi lascia basito la seconda. Non sarò così ingenuo da sostenere che la Fiat non abbia beneficiato per anni di finanziamenti diretti, o di incentivi che drogavano l'intero mercato dell'auto, ma se vogliamo guardare al domani, proponendo una soluzione "sostenibile", sarebbe forse arrivata l'ora di lasciare da parte gli errori storici, che sono da spartire tra la vecchia gestione e la politica d'un tempo.
La storia della Fiat ci impone una seria riflessione su quello che sono le società industriali nella nostra civiltà. Non serve avere un master per capire che la Fiat appartiene all'insieme di quelle imprese che hanno cavalcato il boom economico e, considerato l'immobilismo cui abbiamo assistito per anni, ogni ragionamento deve partire da lì. Negli anni del boom l'Italia era un mercato vergine, molti sistemi produttivi sono stati sovradimensionati perché qui si produceva a basso costo (rispetto al resto dell'Occidente) e c'era un mercato interno da esplorare e conquistare. L'arricchimento della popolazione italiana è coinciso con una saturazione del mercato dell'auto, ed è in quel momento che si è manifestato il grosso errore di fondo che nessuno analizza. Molti dei sistemi produttivi italiani non erano sostenibili sul lungo periodo perché offrivano dei prodotti in cui vi era un'enorme discrepanza tra la domanda iniziale (un'intera nazione da servire) e la domanda a regime, che era decisamente più ridotta.
E' da questo enigma di fondo che nasce l'insostenibilità sociale dell'azienda Fiat ,e piuttosto di sputare invidia sarebbe meglio riflettere sugli scenari allora, ed oggi, possibili. Se un'azienda è sovradimensionata rispetto alla domanda si possono avere due macro opportunità: o l'azienda riduce le sue dimensioni per essere ancora profittevole (libero mercato), o il mercato e i suoi bilanci vengono aggiustati con l'intervento degli enti pubblici che creano le condizioni per una "sostenibilità" forzata. In Italia s'è decisa la seconda strada. Fare ricadere tutta la colpa su Agnelli è stupido. La politica non ha voluto risolvere il dilemma, l'organizzazione è rimasta sovradimensionata, e la proprietà si è trovata nella condizione di non poter gestire in modo attivo la società. Il rinvio del problema, ed il mantenimento a tutti i costi degli stabilimenti, ha portato al continuo peggioramento della situazione perché oggi non è più conveniente produrre in Italia. E queste osservazioni non sono ciniche, ma realiste.
L'avvento di Marchionne è una forte rottura col passato. Questo management accetta la sfida di gestire attivamente la società, ma in cambio chiede solo di poter attuare quelle trasformazioni che rendono competitivo il gruppo che, è bene ricordare, non è un ente di volontariato. Se vogliamo che la Fiat non pesi più sui conti pubblici (anche se gli incentivi erano al settore) bisogna accettare la chiusura di qualche stabilimento che potrebbe essere accompagnata dall'espansione di altri stabilimenti italiani. Se altrimenti vogliamo salvaguardare questo assetto, allora avremmo, per l'ennesima volta, uno Stato che vincola e limita le scelte della proprietà, ed in cambio contribuisce a rendere l'azienda profittevole. Io non voglio questo, preferisco che Marchionne possa operare in totale autonomia e nel rispetto delle leggi e degli accordi formali presi.
I piagnistei dei Ministri del fare hanno invece il sapore delle lacrime di coccodrillo: quando diedero il benestare agli incentivi auto potevano obbligare la Fiat ad assumersi qualche impegno formale. Ma non l'han fatto, mentre in Francia, con la Renault, le cose sono andate diversamente.
Kot156 писал(а):Если кому-то кроме италоговорящих интересна эта тема, могу попереводить.
Secondo Schifani «gli aiuti dello Stato vanno erogati solo se le aziende rispettano questo preciso dovere etico. Il patrimonio industriale e produttivo della Fiat di Termini Imerese deve essere salvato; non dobbiamo e non possiamo disattendere questo impegno morale». Per la seconda carica dello Stato «in un momento in cui stiamo superando la più grande crisi economica del dopoguerra, dobbiamo chiedere alle imprese un ulteriore e più intenso senso di responsabilità sociale. L'aspetto occupazionale, ora come non mai, assume alta rilevanza sociale».
Schifani sottolinea come «in particolare in Sicilia l'occupazione è la prima e irrinunciabile risposta dello Stato e della società al giogo della mafia, che si avvale, sfrutta, ricatta i lavoratori e le loro famiglie, utilizzandoli al pari di merce di scambio per i propri interessi criminali. Il mio è un appello accorato alla Fiat ma non solo, e a tutte le istituzioni. È una richiesta da uomo del Sud che ben conosce gli ulteriori pericoli della disoccupazione per lavoratori che vivono in territori dove purtroppo esiste ancora la criminalità organizzata».
Secondo il presidente del Senato «non deve arroccarsi su mere regole ragionieristiche che guardano esclusivamente al profitto industriale». La libertà di mercato, a volte, osserva Schifani, «deve misurarsi con la tutela dell'imprescindibile valore sociale del lavoro e della sua salvaguardia».
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